Maresciallo dell’Arma si toglie la vita sparandosi alla testa. Il Malessere inascoltato delle Forze di Polizia
La segnalazione è stata inoltrata dal “118”, a sua volta allertato dalla moglie del militare, la quale, rincasando, ha rinvenuto il cadavere.
Al momento non sono stati rinvenuti biglietti giustificativi del gesto. Lascia la moglie, 51enne, casalinga, e un figlio, 21enne.
Si tratta del 32° suicidio tra gli operatori delle Forze di polizia per il solo 2019, di cui 10 appartenenti all’Arma dei carabinieri.
Numeri allarmanti, in percentuale doppi rispetto alla popolazione italiana, ma anche nettamente superiori a Paesi analoghi al nostro. Inferiori solo alla Francia, dove il fenomeno dei suicidi costituisce una vera e propria emergenza.
Ancora oggi non si riesce a tracciare una linea programmatica di prevenzione in termini di benessere e salute delle operatrici e degli operatori della Polizia di Stato.
I vertici delle forze di polizia, ancora oggi, non perdono occasione di sostenere che non esiste una linea di demarcazione netta tra la dimensione personale dei lavoratori di polizia e quella professionale, ma anche di riaffermare la tesi secondo cui “il rischio fa parte del nostro mestiere”. Il rapporto di lavoro è ancora legato al concetto di “appartenenza”, è così che vengono definiti lavoratrici e lavoratori di polizia. I poliziotti sono solo parte di questa società, appartengono a qualcosa o a qualcuno che, però, non si prende cura di loro. Sono elementi di una relazione estremamente destrutturante che, se non spiega la fenomenologia del disagio nel suo complesso, ne alimenta gli effetti negativi.
Il suicidio tra gli appartenenti alle Forze di Polizia è una vera e propria emergenza, una condotta distruttiva, sintomo tragico di una profonda sofferenza interiore, di un disagio personale fatto di concause che si correlano a sofferenza della nostra esistenza quotidiana. C’è il desiderio disperato di dignità in un essere umano che sceglie il suicidio.