Normative pensioni militari
Le pensioni militari hanno una normativa diversa rispetto alle pensioni dei lavoratori civili, ma a seconda dell’anzianità contributiva maturata, l’assegno si calcola allo stesso modo; con il sistema retributivo, misto o contributivo puro. Dal 1° gennaio 2013, i Militari vanno in pensione quando raggiungono l’età massima per la permanenza in servizio, l’età ordinaria è prevista a 60 anni, con almeno 20 anni di contributi versati, ma può arrivare anche ai 65 anni di età, per chi ricopre gradi piu’ elevati, come i generali o i dirigenti di polizia.
Pertanto, è prevista la pensione di vecchiaia, al compimento dei 62 anni di età, per i Generali di divisione delle Forze Armate; 64 anni è prevista per le seguenti figure: Forze armate – generale di corpo d’armata; Polizia di stato e Penitenziaria- dirigente superiore; Guardia di Finanza– generale di brigata; 66 anni di età è prevista la pensione per le seguenti figure; Polizia di stato e Penitenziaria – dirigente generale; Guardia di finanza- generale di divisione e generale di corpo d’armata; Vigili del fuoco- direttore, primo dirigente, dirigente superiore e dirigente generale.
E’ prevista come stabilisce l’articolo 1, comma 25, della legge numero 335, una pensione anticipata per tutto il personale militare in sostanza la norma stabilisce quanto segue;
Il diritto alla pensione di anzianità dei lavoratori dipendenti a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti e delle forme di essa sostitutive ed esclusive si consegue:
a) al raggiungimento di un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni, in concorrenza con almeno 57 anni di età anagrafica;
b) al raggiungimento di un’anzianità contributiva non inferiore a 40 anni;
c) al raggiungimento di un’anzianità contributiva non inferiore a 37 anni, o comunque a quella riportata nella colonna 2 dell’allegata tabella B, se superiore, nei casi in cui il rapporto di lavoro sia stato trasformato in rapporto di lavoro a tempo parziale, ai sensi dell’articolo 5 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726 , convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, e successive modificazioni. La pensione maturata è cumulabile con la retribuzione ed è ridotta in ragione inversamente proporzionale alla riduzione, non superiore al 50 per cento, dell’orario normale di lavoro; la somma della pensione e della retribuzione non può comunque superare l’ammontare della retribuzione spettante al lavoratore che, a parità di altre condizioni, presti la sua opera a tempo pieno. In buona sostanza prevede il diritto a conseguire un trattamento pensionistico nei casi in cui la cessazione del servizio sia dovuta a infermità non dipendente da causa di servizio e per la quale gli interessati si trovino nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa.
Si parla di cambiamenti per le pensioni del comparto di sicurezza, Polizia di Stato esercito e vigili del fuoco.
Le pensioni ordinarie e anticipate per i militari e per la polizia di stato, potrebbero subire importanti modifiche. Tutto il comparto di sicurezza gode di un trattamento speciale rispetto al resto dei lavoratori, tuttavia con le nuove riforme in discussione, il sistema pensionistico potrebbe presto cambiare, le questioni in discussione sono l’adeguamento dell’età pensionabile sia per la pensione di vecchiaia che anticipata, potrebbero aumentare dal 2026. Altro aspetto critico e non di minore importanza i tempi di erogazione del TFS, con ritardi nell’erogazione, infatti la buonuscita viene erogata dall’INPS dopo 12-24 mesi dalla cessazione del servizio, creando disagi per pensionati che devono attendere. Dopo l’intervento della Corte costituzionale che ha dichiarato anticostituzionale il TFS dilazionato, sollecitando il Parlamento a porre fine a questa ingiustizia.
In considerazione dei trattamenti speciali previsti per i lavoratori usuranti e per lavoratori precoci, si deve considerare la particolarità del servizio dei militari, polizia di stato, vigili del fuoco, polizia penitenzia, infatti, NON POSSONO essere equiparati al pubblico e privato impiego in ragione del diverso e imparagonabile tipo di lavoro che svolgono.